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| Titolo: Da R. Steiner - Il Vangelo di Marco - Lun Gen 07, 2013 8:45 am | |
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Le potenze divino-spirituali conferirono all’uomo la sua figura, la sua immagine esteriore; ma quel che visse in tale figura esteriore, a partire dall’antica epoca lemurica, si trovò sempre sotto l’influsso delle forze luciferiche e più tardi anche di quelle arimaniche. Sotto gli influssi di tali forze venne in seguito sviluppandosi ciò che gli uomini chiamarono scienza, conoscenza, intendimento. Non è quindi da meravigliarsi che, essendo stata presentata all’umanità proprio in quell’epoca [al tempo del mistero del Golgota] la vera essenza, l’essenza spirituale dell’uomo, gli uomini non fossero in grado di riconoscerla e di comprendere che cosa fosse diventato l’uomo nel corso dei tempi. Il sapere umano, l’umana conoscenza, si erano andati impigliando sempre piú nell’esistenza sensibile, diventando cosí sempre meno capaci di accostarsi alla vera natura dell’uomo. …Al cospetto dell’umanità si trovava “l’uomo”, nella figura conferitagli dalle potenze divino-spirituali: nobilitata però e spiritualizzata dalla triennale presenza del Cristo in Gesú di Nazaret. Cosí “l’uomo” si trovava in quell’ora davanti agli occhi di tutti gli altri uomini. Per quanto riguarda la comprensione e la conoscenza di questo mistero, gli uomini avevano potuto conquistarne soltanto quanto lo consentiva la loro intelligenza sottoposta al millenario influsso di Lucifero e di Arimane. Ed ecco che ai loro occhi si presentò l’uomo che durante tre anni aveva espulso da sé gli influssi luciferici e arimanici, l’uomo ripristinato nella condizione precedente a Lucifero e ad Arimane. Solo grazie all’impulso del Cristo cosmico l’uomo era ritornato quale era stato posto nel mondo fisico, proveniente dal mondo spirituale. Lo spirito dell’umanità, il figlio dell’uomo, stava dinanzi a coloro che il quel momento erano giudici o carnefici, a Gerusalemme; si presentava però quale era divenuto per il fatto di avere eliminato dalla propria natura tutto ciò che aveva trascinato l’uomo verso il basso. Cosí, al compiersi del mistero del Golgota, l’uomo si presentava in immagine a tutti gli altri uomini; gli uomini avrebbero dovuto stare davanti a lui, venerandolo e pregando: ecco lí la mia vera essenza umana, ecco il mio ideale piú sublime, ecco lí la figura che io dovrei assumere con il piú strenuo sforzo dell’anima mia. Dinanzi a me vedo ciò che solo è venerabile e degno di adorazione nella mia natura, vedo il divino che è in me. Di quella figura, gli apostoli avrebbero dovuto dire (se fossero stati in grado, allora, di esplicare una vera autoconoscenza): in tutto il mondo non esiste nulla che sia confrontabile, per valore e grandezza, a questo figlio dell’uomo che sta dinanzi a noi. L’umanità avrebbe dovuto disporre di questo grado di autoconoscenza in quel momento storico. Cosa fece invece? Sputò sul figlio dell’uomo, lo flagellò, lo trascinò al calvario. Questo è il drammatico punto di svolta fra ciò che avrebbe dovuto avvenire (cioè il riconoscimento che ci si trovava di fronte a qualcuno di assolutamente incomparabile con qualunque cosa al mondo) e quello che avvenne realmente e che ci viene descritto subito dopo. I Vangeli ci descrivono che l’uomo, incapace di discernere, invece di riconoscere se stesso calpestò il meglio di se stesso, lo uccise: solo mediante questa tragica lezione cosmica l’uomo poté accogliere l’impulso a conquistarsi a poco a poco la sua vera essenza, in tutto il corso dell’ulteriore storia della Terra.
Da R. Steiner, Il Vangelo di Marco, Editrice Antroposofica, Milano 1980, pp. 188-189 | |
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