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| Titolo: R. Steiner, L’Inferno, conferenza tenuta a Berlino il 16 aprile 1908 Lun Lug 01, 2013 8:24 am | |
| L'INFERNO Dobbiamo andare a lungo a ritroso, nello sforzo umano, verso una soluzione degli enigmi universali, quando vogliamo prendere in considerazione l’origine delle due rappresentazioni, che si impongono subito all’uomo, quando questi in un senso piú profondo, e soprattutto in senso spirituale, giunge a questi due enigmi universali: le due rappresentazioni del bene e del male.
Il pensiero umano cercherà sempre di elevarsi alle forze occulte che dal mondo spirituale attraversano la nostra evoluzione e la condizionano. Sempre, e nelle forme piú diverse, incontriamo il tentativo di portare in relazione le forze benefiche della vita, che servono al progresso dell’evoluzione umana, con quelle che distruggono, contrastano, ostacolano. All’uomo però sempre ricompare l’intima parentela che, nonostante l’apparente forte contrasto, per chi osserva attentamente, esiste fra queste due direzioni di forza. Bisogna solo pensare alle parole di Schiller sul fuoco già citate in un’altra occasione:
Potente è la forza del fuoco quando l’uomo la domina, la sorveglia, diviene fruttuosa la forza del cielo quando si strappa le catene ed entra sulla propria traccia la libera figlia della Natura.
Si desidererebbe dire che in tali parole giace, come velata, la questione che ci occuperà oggi e nella prossima conferenza, e che in tempi diversi si è rivestita delle parole “inferno” e “paradiso”. Per questo motivo non è lecito immaginare che queste parole, ovunque esse compaiano, abbiano quel significato superstizioso che, non solo molti soci danno a queste stesse rappresentazioni, ma anche non pochi fra quelli che oggi le desidererebbero combattere, senza conoscerne il significato piú profondo.
Se anche solo superficialmente ci guardiamo attorno, vediamo sorgere la nostra questione proprio dall’antica cultura persiana, dove ad un regno di forze benefiche, quello di Ormuzd, veniva aspramente contrapposto un regno delle forze cattive, quello di Ahriman. E quando vediamo come qui, tramite un singolare insieme di pensieri, le forze malefiche che ostacolano il cammino si mescolano intimamente alle forze nascoste che fanno progredire il mondo nel senso buono, finché alla fine vince la potenza della luce, di fronte a noi abbiamo una delle piú grandi immagini di cui la fantasia umana e l’immaginazione umana rivestono il nostro problema. Dal Tataros greco fino al mondo nordico delle saghe, ci viene incontro un regno, ci vengono incontro nomi, ai quali è legato il concetto di inferno. È quel luogo in cui sono dannati coloro che nel mondo fisico non sono deceduti di una morte onorevole, conforme all’indirizzo culturale.
Nel ricordare questa saga del regno dell’inferno, possiamo intuire una particolarità. Osserviamola, perché sia detta fin dal principio: nell’espressione del mondo delle saghe, si trova talvolta una saggezza piú profonda di quella che, in tempi moderni, ha come base concetti astratti.
È degno di nota come il mondo delle saghe nordiche faccia derivare lo stato attuale del mondo dal paese nordico “Nifelheim”, avvolto nella nebbia fredda, che era in tempi antichi estraneo al Sole secondo la rappresentazione germanica, e da un altro regno, il regno caldo, il “Muspelheim”. Dall’azione reciproca dei due regni nacque lo stato attuale della Terra. E non dal caldo Muspelheim, ma dal freddo e nebbioso Nifelheim vennero portate le piú importanti forze che ora servono l’umanità. Là, si sono dapprima formate le forze umane superiori, che stanno alla base della cultura odierna. Ma contemporaneamente – e questa è la cosa degna di nota che accarezza in maniera meravigliosa la nostra questione – ci viene detto che l’Hel che prende a sé i morti indegni, viene unito dagli dèi a questa dimora della nebbia, dove giungono coloro che sono morti di una morte indegna. È da notare il fatto che il regno e la forza dell’ascesa vengono congiunti con il luogo e la personalità che rappresenta la forza della morte, della putrefazione.
E quando lasciamo i tempi antichi e ci avviciniamo ai nostri, troviamo che soprattutto coloro che, secondo Pochhammer(1) nella sua edizione di Dante, dovrebbero essere addirittura gli educatori e i maestri della gioventú, ricorrono alla rappresentazione di un mondo in cui il male è concentrato, quando vogliono spiegare il nostro essere, fin dalle profondità dell’esistenza cosmica. In che modo potente e grandioso Dante, proprio all’inizio del suo poderoso poema, ci rappresenta questo mondo di cammino, di purificazione e di sviluppo, verso i mondi superiori! E nuovamente un poeta era spinto a ricorrere a queste rappresentazioni per descrivere le forze situate nell’anima dell’uomo, come fece Goethe nel suo Faust. Perciò accostò, a quello che doveva condurre Faust alle forze luminose e chiare, il rappresentante delle potenze infernali: Mefistofele.
Si possono trovare moltissime citazioni significative nel Faust di Goethe, che descrivono il particolare rapporto di Faust con Mefistofele e di entrambi con l’essere universale. Qui si è ricorso solo a due esempi in cui per Goethe, nel richiamarsi alle saghe nordiche, i due concetti di bene e male stanno l’uno accanto l’altro. In una citazione Mefistofele viene chiamato «una parte di quella forza che, nonostante voglia il male, fa il bene». Qui i concetti di bene e male vengono posti in una relazione molto intima con l’intero essere cosmico. Vi è inoltre un’altra citazione di Goethe che da una parte ci conduce profondamente nell’anima di Goethe, e dall’altra anche nel nostro problema, e che vogliamo riportare; in effetti tratta dell’intera relazione delle forze buone in Faust, con ciò che Mefistofele vorrebbe raggiungere in lui, il male. Assai significativamente Goethe fa dire a Faust, al momento in cui sta per concludere il patto con Mefistofele che determina a quali condizioni debba darsi a Mefistofele stesso:
Se all’attimo dirò: «Resta! Sei Bello!» allora sí, ti sia concesso stringermi, entro le tue catene; allora sí, beatamente a picco io cali in perdizione! Squillino allora a morto le campane, e liberato sii dai tuoi servigi; l’orologio si fermi; sul quadrante, cadano giú le sfere, e per me cada consumato il Tempo!(2)
«Se all’attimo dirò: “Resta! Sei bello!”» è una espressione con cui Goethe ci fa intendere che Mefistofele, nel suo insieme, non lo ha capito. Faust sa certamente di essere nella possibilità di cedere alle forze infernali quando si pone nella posizione di dire all’istante: «Resta! Sei bello!».
Tutto quanto detto, doveva venire posto quale premessa perché ci doveva indicare la direzione da prendere nell’odierna trattazione, partendo da una parte dal mondo delle saghe, e dall’altra dal pensiero umano, profondamente calato in vesti poetiche. Coloro che oggi credono di poter costruire un intero quadro di una concezione del mondo con alcuni concetti del mondo materiale raggruppati alla rinfusa, naturalmente se la cavano assai facilmente con i concetti di inferno e paradiso. Non li preoccupa ciò che abbiamo messo all’inizio della nostra trattazione. Dicono semplicemente: ci basta ripercorrere lo sviluppo delle diverse religioni e delle infantili concezioni del mondo e ci diventerà subito chiaro che, o i popoli nel loro bisogno, o qualche uomo, hanno escogitato i cosiddetti inferno e paradiso, in parte per consolare i popoli stessi per la sofferenza che patiscono sulla terra, in parte per spronarli, per mezzo della paura degli inferi, a rivolgere i loro sforzi egocentrici al bene. Chi parla cosí, nulla sa dei reali moventi o dei reali motivi, per cui sono state introdotte nelle anime degli uomini alcune rappresentazioni come paradiso ed inferno. Oggi non cercheremo una risposta alla domanda che l’umanità sempre si è posta con qualsivoglia immagine, giudizio e ragionamento, ma vogliamo conseguire delle rappresentazioni su ciò che vi è da dire su questa domanda, a partire da quello che sotto un certo aspetto abbiamo messo come base a tutte le nostre conferenze invernali.
Ricordiamoci della conferenza che ho tenuto qui sul tema Uomo, donna e bambino(3). Abbiamo potuto parlare dell’evoluzione dell’uomo sulla Terra ed informarci di certe forze che partecipano, ed hanno voce in capitolo, nel divenire umano. Quando, nel senso della Scienza dello Spirito, gettiamo uno sguardo a questa umana evoluzione – cosí abbiamo detto allora – per conseguire una relazione con questa, ci riallacciamo infine al modo in cui l’osservatore della Scienza dello Spirito osserva il bambino in divenire, al modo in cui ci viene incontro fin dai primi istanti della sua vita e alla maniera in cui ricava progressivamente, alla luce del giorno, forze e capacità.
Chi osserva quest’uomo in divenire con lo sguardo acuito dalla Scienza dello Spirito, vede come dai semi si sviluppano, in una maniera affascinante, queste facoltà. Una scienza di idee materialistiche desidererebbe farci credere come ciò che viene alla luce progressivamente in maniera tanto affascinante si debba ricondurre a caratteristiche meramente ereditarie di genitori, nonni o simili ascendenti. La parola ereditarietà gioca nel nostro tempo un grande ruolo nei confronti di questa domanda. Spesso, si è già posta l’attenzione sul fatto che la Scienza dello Spirito si trova nella necessità di avere un’importanza che non proprio molto tempo fa – non sono neanche trecento anni – aveva un grande naturalista: il ricercatore della natura Francesco Redi(4). Questi ha espresso qualcosa che oggi è patrimonio comune di ogni sapere erudito e profano. Al suo tempo, però, non era convinzione profana, ma anche convinzione di tutti i naturalisti, che dalla materia inanimata, dal fango, potessero nascere non solo esseri animali inferiori, ma anche lombrichi, pesci e cosí via dicendo. Oggi si crede che siano solo pregiudizi religiosi quelli che impediscono all’uomo di ricondurre le cose ad un ordinamento universale puramente meccanico.
Tuttavia, non erano solo i pochi studiosi secolari di quel tempo ad aver accettato che dalla materia inanimata potesse nascere la vita, ma anche Sant’Agostino(5) era di questo avviso. Si scorge da ciò, che non ha contraddetto per nulla la religiosità di Sant’Agostino il fatto di rappresentare tale concezione.
Tuttavia, cos’è che contraddice una tale congettura? Un’osservazione reale esterna ed interna, che va fin nelle profondità dell’essenza universale, esperienza fisica e non sovrasensibile sulle cose. Erano esperienze fisiche, e non sovrasensibili, quelle che progressivamente hanno fatto accettare per forza all’uomo l’enunciazione che fece Redi: il vivente può nascere soltanto dal vivente. Nella stessa condizione in cui a quel tempo si trovava il naturalista Redi, che è andato incontro con precisa necessità al destino di Giordano Bruno(6), si trova la moderna Scienza dello Spirito. La frase che oggi verrà dibattuta, è applicata ad un campo spirituale ed afferma: «Lo spirituale può nascere solo dallo spirituale». Ciò che dapprima vediamo svilupparsi dalle predisposizioni del seme infantile, non lo possiamo far risalire a fenomeni fisici. Lo facciamo risalire allo spirituale, come facciamo risalire il vivente alla vita. Di conseguenza, lo spirituale ci riconduce a qualcosa di animico-spirituale. Quando l’animico-spirituale si presenta a noi rivestito e ricoperto di quelle caratteristiche che riconducono all’elemento fisico dell’uomo, oppure ad altri involucri umani, come conseguenza di ciò colleghiamo questo elemento fisico che colora e dà sfumature alle capacità ed alle peculiarità animiche, alla sequenza ereditaria che ci appare come genitori, nonni e cosí via. Se vogliamo nuovamente porre l’attenzione su come, nella linea ereditaria, si sommano progressivamente le caratteristiche che alla fine compaiono in un postero, affermiamo che la cosa dal punto di vista della Scienza dello Spirito non ci meraviglia per nulla. Troviamo naturale che nei corpi in cui nasce il seme spirituale, si presentino i segni dell’ereditarietà fisica. Tuttavia, come consideriamo questa ereditarietà fisica? Perciò vagliamo il seguente esempio: prendiamo il seme di una pianta e trapiantiamolo in una terra fruttuosa, con tutte le sostanze che riccamente si possono fornire alla pianta. Conseguentemente trapiantiamo lo stesso seme in un’altra terra, che contiene in maniera scarsa le sostanze di cui la pianta ha bisogno. Le piante portano in sé le peculiarità del terreno da cui sono germogliate. Cosí vediamo la pianta, come essa si schiude, come è la sua genesi profonda, il suo seme, e dall’altra parte vediamo ciò che sviluppa e schiude questo seme, come ciò in cui questi è avviluppato dipenda e sia riempito dal campo e dal terreno da cui la pianta è nata. Tale è l’uomo, nato dall’animico-spirituale della preistoria, come la pianta è nata da una pianta precedente. È cresciuto su un terreno che è stato preparato nella linea ereditaria e contiene, questo germe animico-spirituale, anche caratteristiche che l’uomo porta con sé dal terreno della linea ereditaria. Non ci meravigliamo che l’intero processo sia cosí e si rappresenti per chi dall’esterno e dal punto di vista fisico osserva il mondo in modo tale, da poter cadere negli errori accennati. Quando si dice che si deve osservare come, in una personalità particolarmente dotata, si sommino le caratteristiche dei discendenti, e che un musicista proviene da una famiglia di musicisti, e un matematico da una di matematici, la Scienza dello Spirito non ha bisogno di negare tali cose in alcun modo, o di rappresentarle sotto un’altra luce. Per la Scienza dello Spirito le cose stanno cosí.
Vi sono due intervalli di tempo, all’interno dei quali ciò che è il nostro animico-spirituale ricompare sempre. Parliamo nella Scienza dello Spirito di ripetute vite terrene, nel dire che ciò che in noi è essere animico-spirituale ci riconduce a vite precedenti, in cui i semi spirituali sono stati posti per la vita odierna. Tutto ciò che ora abbiamo, o ciò che oggi conseguiamo, in un tempo futuro si svilupperà ed avrà il suo effetto. Questo seme animico-spirituale non ha nulla a che fare con ciò che prosegue nella linea fisica. Quando l’uomo viene ad essere, questo seme animico-spirituale entra nel corpo fisico, e le forze che sono ereditarie nella famiglia gli edificano il corpo fisico che egli abita. Cosí nell’uomo è costruita assieme una dualità di cui una parte, l’animico-spirituale, riconduce ad una linea di evoluzione puramente spirituale, mentre l’altra parte, quella fisica, è da ricondursi alla linea ereditaria di evoluzione. Ereditarietà e reincarnazione sono i due aspetti che qui agiscono uno nell’altro, cosa che si dimostra illuminante in ogni ragionevole trattazione. Tuttavia vedete – dopo capirete – che in un discendente sono presenti delle caratteristiche, ed in un altro altre ancora. Alla fine, queste caratteristiche si riuniscono e diventano un Goethe, un Beethoven. Di conseguenza, i geni compaiono abitualmente alla fine di una lunga sequenza.
Consideriamo questa affermazione: il genio appare alla fine di una linea di generazioni. È strano che proprio per questa ragione, questo fattore venga fatto dipendere dall’ereditarietà, perché il genio ha un corpo che è organizzato a tal fine. Se i Bernoulli diventano sempre matematici, è chiaro che per questo motivo hanno bisogno di corpi particolari. Non è un fatto meraviglioso che quando si affonda questo seme animico-spirituale nella linea ereditaria, questo apporta tali particolarità? O ci si meraviglia del fatto che si esca bagnati dall’acqua? Di conseguenza, è naturale che chi nasce da una famiglia porti le caratteristiche di quella famiglia stessa. Cosí, ciò che vuole dire la frase citata è qualcosa di naturale, di primitivo. Ma che cosa dovrebbe indicare che il genio è ereditabile? Il fatto di trovarsi all’inizio, e non alla fine, di una sequenza di generazioni! È uno strano modo di ragionare quello di dire che le caratteristiche si ereditano, e che contemporaneamente il genio si trova alla fine di una sequenza. Una logica sana può solo affermare che il genio, per il fatto di reincarnarsi, non può lasciare in eredità caratteristiche spirituali, altrimenti starebbe all’inizio di una sequenza di generazioni. Compaiono due linee di sviluppo, una spirituale ed una fisica. Se non lo si accetta, non se ne viene a capo, anche se dotati di una logica sana.
Osserviamo un bambino che centinaia di anni fa ha attraversato un’altra vita, osserviamo il suo sviluppo e l’utilizzo di quelle caratteristiche che gli si presentano d’ora in poi. Cosí vediamo venire alla vita un bambino. E come vediamo uscire l’uomo dalla vita? Ne abbiamo già accennato. Ora vogliamo prendere in considerazione gli avvenimenti che compaiono, mentre ciò che è entrato attraverso la nascita nell’esistenza fisica, esce di nuovo dalla vita, nell’attraversare la porta della morte. Qui non dobbiamo considerare la morte in quanto tale, ma qualcosa che abbiamo considerato nell’ultima trattazione: l’alternarsi di sonno e veglia, e l’alternarsi di vita e morte.
Sappiamo dall’ultima trattazione che, mentre la sera l’uomo affonda nel sonno senza sogni, certe parti del suo essere si staccano da ciò che chiamiamo l’interiorità propriamente umana, l’essere piú profondo, il nucleo dell’essere dell’uomo. Differenziamo in un uomo immerso nel sonno, nel senso della Scienza dello Spirito, ciò che per cosí dire rimane a letto, da questo nucleo dell’essere. Nel letto rimane il corpo fisico, che alla morte viene consegnato agli elementi della terra. Ma quando l’uomo sta a letto, il corpo fisico non è come quando viene consegnato alla terra. Il corpo fisico è impregnato del corpo eterico o vitale. Il corpo fisico vive, le funzioni vitali vengono interrotte, con la conseguenza che a letto rimangono il corpo fisico e il corpo eterico o vitale. Fuori troviamo, alla fine, il portatore del piacere e della sofferenza, della gioia e del dolore, e di tutte le percezioni sensoriali che ondeggiano su e giú durante il giorno: caldo e freddo, odorato e gusto, il portatore dell’intera vita di pensieri e rappresentazioni, a partire dagli istinti e dalle passioni, fino agli ideali morali. Tutto ciò, nel prendere sonno, affonda in un buio indeterminato. Tutto ciò è anche quello che ritorna al mattino, come una luce che ondeggia all’interno. È la luce della coscienza.
Vi è ancora qualcosa che dobbiamo differenziare in maniera precisa, fra ciò che fuoriesce dal corpo umano, sia da quello fisico che da quello eterico: è la coscienza umana di sé e il suo portatore, l’Io umano. Chiamiamo corpo astrale il portatore della gioia e della sofferenza, di istinti e passioni, delle percezioni ondeggianti, e il portatore della coscienza di sé, la quarta parte dell’essere umano, lo chiamiamo Io. Queste due parti, il portatore dell’Io e il portatore della gioia e del dolore, durante il sonno senza sogni fuoriescono dal corpo fisico ed eterico.
Perché non potete percepirli nel loro mondo? Abbiamo trovato la risposta a tale domanda nelle nostre conferenze e possiamo dire che è cosí perché, considerando lo sviluppo attuale dell’uomo, l’Io e ed il corpo astrale non hanno organi per tale scopo. L’uomo percepisce il suo ambiente per il fatto di possedere degli organi adatti: occhi ed orecchie. Al primo mattino, quando l’Io ed il corpo astrale si immergono nel corpo fisico e si appropriano di questi organi, l’uomo percepisce ciò che gli sta attorno. Cosí abbiamo un essere costituito di quattro parti: un corpo fisico, uno eterico, uno astrale ed un corpo dell’Io. Tale è l’essere dell’alternarsi di veglia e di sonno.
Prendiamo ora in considerazione il momento della morte. Possiamo farlo nel consultare ciò che si pone come dato di fatto, per chi ha applicato a sé i metodi dell’iniziazione ed ha imparato ad usare i sensi superiori che sono assopiti nell’uomo. Però, anche con una logica abituale si può rendersene conto, perché i fatti stessi si presentano in maniera tale, da poterci dare una rappresentazione della via dell’uomo attraverso la morte. Al momento della morte, compare qualcosa che durante l’intera vita fisica compare solo eccezionalmente. Durante la vita, il corpo eterico rimane unito al corpo fisico; solo con la morte se ne separa e di conseguenza il corpo fisico diventa cadavere: segue ora le forze meramente fisico-chimiche, alle quali venne strappato fra nascita e morte attraverso la coabitazione del corpo eterico.
Questo corpo eterico è, come spesso è stato detto, un combattente fedele, durante l’intera vita, contro il decadimento del corpo fisico, perché il corpo fisico ha in sé forze chimiche e fisiche. La cosa è evidente quando, dopo la morte, è lasciato a se stesso: si disgrega, è una mescolanza impossibile. Il corpo eterico si stacca dal corpo fisico e rimane per un certo periodo assieme al corpo astrale e l’Io.
Questa connessione è di grande importanza. Ora, al momento della morte, dinanzi all’uomo compare un quadro mnemonico generale della vita precedente fra nascita e morte. È come se un poderoso panorama di questa vita vissuta stesse di fronte alla nostra anima. Questa visione, questo quadro mnemonico, è accompagnato da un sentimento di ampliamento, di ingrandimento dell’essere umano. È come se l’essere umano si espandesse e dalla parte interna apparissero, come un meraviglioso panorama, le immagini della vita passata.
Da dove proviene tutto ciò? Viene dal fatto che il corpo eterico è il portatore della memoria. Fintanto che si trova nel corpo fisico, fintanto che è legato al corpo fisico, può solo scorgere cosa ha vissuto fra nascita e morte. Il corpo fisico è un intralcio. Siccome il corpo eterico è un portatore puro, non torbido, della memoria, per questo motivo dopo la morte compare l’intero passato in un unico quadro. Persone che nell’affogare, o in una caduta montana, sono stati vicini alla morte ed hanno ricevuto uno shock, si ricordano di un unico momento in cui tutta la loro vita stava loro di fronte all’anima. Vi potrei raccontare molto, ma voglio solo citare ciò che sta in un libro a cui già prima ho accennato. L’antropologo criminale Moritz Benedikt(7), un uomo per cui tutto quello che è stato detto qui è stato visto come la piú grande assurdità e fantasticheria – ma non fa nulla – racconta che una volta che era vicino ad affogare tutta la sua vita gli si presentò davanti come un grande quadro. Cosa si verifica in un caso simile? Si verifica un allentamento spontaneo fra corpo fisico ed eterico, che viene subito eliminato. Ne segue che il contenuto mnemonico dell’intera vita compare per un breve lasso di tempo di fronte all’anima umana. Alla fine, questo quadro mnemonico sta di fronte all’anima dell’uomo. Poi, viene il tempo in cui il corpo eterico si separa dal corpo astrale e dall’Io. Una parte del corpo eterico rimane allacciato con l’essere umano, una parte che si può chiamare l’estratto vitale, come un piccolo riassunto. Pensate a questo piccolo riassunto come se poteste, da una parte, riassumere artisticamente il contenuto di un grosso libro, in modo tale che un uomo possa di nuovo ricostruire da questo riassunto il contenuto del libro. Dopo che ha deposto ciò che non è possibile utilizzare per la sua successiva evoluzione, un qualcosa che si potrebbe definire come un’essenza della vita viene incorporato nell’essere umano per il futuro. Su questo vogliamo porre l’attenzione. Ciò che rimane incorporato per il progresso futuro, è il frutto dell’ultima vita. Ogni vita forma un foglio in un grande libro della vita, e tutte le nostre vite terrene sono registrate in detto foglio. Sono incorporate al nostro essere. Prendiamo tale frutto con noi da una vita, per tutte quelle a venire. Tale frutto riveste una grande importanza per la successiva evoluzione dell’uomo.
Prima di essere in grado di concentrare la nostra attenzione su questo estratto vitale, si deve prendere in considerazione piú dettagliatamente il lungo cammino dell’uomo dopo la morte. Poco tempo dopo la morte e dopo lo svolgimento di questo quadro, per l’uomo ha luogo un altro periodo che possiamo caratterizzare come segue. A questo punto l’uomo possiede il proprio Io, il proprio corpo astrale, e questo estratto di cui ho parlato. Consideriamo adesso come il corpo astrale, portatore di impulsi, desideri e passioni, può agire. A partire da considerazioni logiche siamo in grado di formarci una rappresentazione dell’agire del corpo astrale. Prendiamo per una volta una di queste esperienze: quella del buongustaio, che ha piacere per i cibi saporiti. Come si realizza il piacere? Facilmente qualcuno potrebbe attribuirlo al corpo fisico. Sarebbe un’assurdità. Non il corpo fisico, ma il corpo astrale è il portatore di desideri, della gioia e della sofferenza. Il piacere è posseduto dal corpo astrale, è lui che sviluppa il desiderio verso i cibi saporiti. Il corpo fisico è un apparato di sostanze fisiche, di forze fisiche e chimiche. Fornisce il mezzo con cui il corpo astrale può soddisfare questi desideri. Questo è il rapporto nella vita fra il corpo astrale ed il corpo fisico. Il corpo astrale reclama il soddisfacimento dei suoi desideri, ed il corpo fisico gli procura i mezzi, il palato, la lingua e cosí via attraverso cui poterli soddisfare. Cosa succede in caso di morte? Il corpo fisico viene deposto e con lui tutti gli strumenti del soddisfacimento. Il corpo astrale è presente ed è facile rendersi conto che questi non ha rinunciato alla sua ricerca verso il piacere, ai suoi desideri, per il fatto di esser stato privato del mezzo fisico. Il corpo astrale mantiene dopo la morte i desideri e le brame, sebbene gli manchi lo strumento fisico con cui soddisfarli. Sviluppa cosí i piaceri per i cibi saporiti e via dicendo, ma gli manca il palato. È come un uomo che ha una sete ardente, in un ambiente in cui nelle vicinanze non c’è acqua. Non vi è alcuna altra ragione per cui dopo la morte si trova nell’impossibilità di soddisfare i piaceri, se non quella di non possedere alcun organo. Conseguentemente, attraverso i desideri patisce del dolore, fino al momento in cui non li avrà radicalmente estirpati, non soddisfacendoli.
Questo è il tempo che l’uomo deve trascorrere nel cosiddetto Kamaloka. Kama significa desiderio, loka significa luogo. È un simbolo. Per prima cosa, termina il tempo della sofferenza nel momento in cui l’uomo ha estirpato il desiderio e la brama che si radicano nel corpo astrale, e che possono venire soddisfatti solo nel corpo fisico. È il tempo del divezzamento, della purificazione.
Però domandiamoci, ora, se il tempo della purificazione possa comparire in tutti i gradi possibili: dobbiamo rispondere affermativamente. Prendiamo due uomini, uno che è del tutto assorbito dai piaceri sensuali, la cui vita dalla mattina alla sera è piena di tutti i piaceri possibili ed immaginabili che si possono avere solo nel mondo fisico, dove sono disponibili i mezzi per il loro soddisfacimento. L’intera sua interiorità si identifica con il corpo fisico. Un uomo che in tale modo si identifica con il proprio corpo fisico, avrà un’esistenza piú difficile, dopo la morte, di chi già in questa vita, attraverso gli eventi sensibili, vede ciò che è sovrasensibile, animico-spirituale. Considerate qualcuno che osserva un bel panorama o un’opera musicale. Proprio nelle cose piú piccole, nelle meno importanti, l’uomo può scorgere la manifestazione dello spirito. Scegliamo un bel panorama o una bella opera musicale come esempio, perché cosí la cosa si spiegherà piú facilmente. Chi nelle armonie e melodie di un’opera musicale sente scrosciare gli enigmi dell’eterno nel mondo, chi può far agire sulla propria anima in un bel paesaggio i rapporti e le armonie spirituali, già in questa vita fra nascita e morte si strappa quale essere animico-spirituale a ciò che è legato al fisico. E questo che traspare attraverso il fisico, che viene percepito risonante attraverso il fisico, è un possesso che ci rimane, e per il quale non dobbiamo elaborare alcuna purificazione, alcun divezzamento; poi, ciò che da noi viene abbandonato, è solo la veste esterna. Riflettete per una volta nella vostra piú profonda interiorità come, in un’opera musicale, si svela qualcosa che è puramente spirituale. Si mette in rapporto con manifestazioni sensibili nient’altro che ciò che in esse è celato e che è penetrato attraverso il mezzo della stessa manifestazione sensibile. È qualcosa che appartiene allo spirito, all’anima, e che l’uomo dopo la morte non ha bisogno di strappare via.
Vedete che ciò che si deve sopportare ha diverse gradazioni, e che queste gradazioni si valutano nella misura in cui l’uomo si è identificato con quello che soltanto può esperire, e godere, attraverso i suoi organi, nel mondo fisico. Esiste, per cosí dire, una prospettiva che certamente per nessun uomo ha bisogno di essere una diretta realtà nel presente, perché non c’è uomo in cui le condizioni di questa prospettiva si adempiano completamente. Tuttavia è presente. Prendiamo un uomo che dedica l’intero suo Io a ciò che può venire goduto tramite il corpo fisico ed i suoi organi, in relazione con il mondo esterno fisico, che si è del tutto perso in questo mondo sensibile esterno, e che non ha alcun interesse a ciò che animico-spiritualmente sta alla base di questo mondo sensibile esterno: un uomo che sta sulla terra e si identifica con ciò che rappresenta il suo corpo. Quale sarà la conseguenza? Possiamo riconoscerlo se ricerchiamo gli enigmi dell’essere umano in maniera piú precisa.
Dobbiamo, se vogliamo fare ciò, parlare di quello che l’uomo prende con sé come estratto vitale. Che cosa compare da ciò che prende con sé come estratto vitale? Da questo frutto della vita precedente l’uomo costruisce la prossima incarnazione, il corpo della prossima vita. Poi, ciò che appare come uomo che si sviluppa a poco a poco, è il prodotto dell’ereditarietà. Tuttavia, questi prodotti dell’ereditarietà sono in un certo qual senso elastici. L’uomo non si fa edificare il proprio corpo soltanto dalle caratteristiche dell’ereditarietà, bensí, come in una corporeità elastica, lavora e tesse ciò che ha apportato dalla vita precedente. E quando ci chiediamo: qual è la conseguenza del fatto che l’uomo vive, cosí, da incarnazione ad incarnazione? Possiamo dire: ha come conseguenza ciò che possiamo chiamare il cammino di perfezionamento dell’uomo attraverso le varie vite terrene. L’uomo entrò nella sua prima incarnazione, al suo primo ingresso nelle vite terrene, con forze che, in confronto alle forze che oggi agiscono nella maggior parte degli uomini, erano primitive. Quando entrò nella sua prima incarnazione, l’uomo aveva solo poca forza animica attraverso cui poter deviare l’animico dentro il corpo fisico ed eterico. Godette cosí dei frutti della prima vita, li prese con sé, e conseguentemente nella vita successiva poté divenire un essere piú perfetto. Poi, attraverso il fatto di essere in grado di aggiungere alle forze limitate che aveva come primo essere, le esperienze della vita successiva, l’uomo si è reso, fintanto che prendiamo in considerazione queste forze, un essere terreno chiuso in sé ed armonico. Ogni nuova vita ci appare ad un gradino superiore. Qui, però, vedete due forze agire una dentro l’altra. Dopo che l’uomo ha oltrepassato la porta della morte, vedete l’estratto vitale, le forze della vita precedente che vengono conservate per il futuro, e le forze che possono rendere l’uomo sempre piú perfetto. Cosí, di vita in vita, la forza dell’uomo che diventa sempre piú perfetto viene potenziata. Tuttavia, al momento in cui l’Io lascia il corpo fisico, vedete comparire delle forze che lo incatenano di nuovo all’essere fisico passato. In effetti, dopo la morte, l’essere umano è composto di ciò che possiamo chiamare forze che fanno proseguire, e ciò che possiamo chiamare forze che si formano dentro, che ostacolano.
Adesso consideriamo un po’ queste forze ostacolatrici di cui abbiamo parlato, e che l’uomo dopo la morte deve strappare fin dalle radici. Se non sopravvenisse nulla d’altro, l’uomo, dopo la morte, sarebbe equipaggiato con ciò che ha portato con sé dalla vita passata, per le forze apportatrici di frutti, per l’essere futuro. L’uomo certamente si strappa da tutto ciò che lo ha per cosí dire incatenato alla vita precedente, si strappa da ogni soddisfazione e da tutti i piaceri. Soltanto da una cosa non si può staccare. Un resto rimane. Questo qualcosa che, dopo la morte, appare come una rimanenza, che l’uomo deve strappare da sé, preparato fra nascita e morte, non è presente quando l’uomo viene alla vita. Dopo il suo ingresso nella vita, cresce all’interno del mondo fisico, e le sue inclinazioni per il piacere del mondo fisico si rappresentano come qualcosa che l’uomo acquisisce nel corso di questa vita, che educa nel proprio essere. Ora possiamo formarci delle rappresentazioni di quello che l’uomo educa progressivamente nel suo essere: è un qualcosa che non contribuisce alla sua evoluzione, che addirittura renderebbe impossibile tale evoluzione, se fosse consegnato solo e soltanto a queste forze. Poiché apporta tutto ciò nella sua vita e poiché ha la possibilità di venire raccolto dalla vita, la vita stessa fra nascita e morte è ciò che le forze ostacolatrici portano dentro l’uomo. C’è da una parte l’esperienza di vita che portiamo con noi come frutto, e dall’altra vi è cementato assieme il mondo fisico, che portiamo a noi in maniera duratura. È ciò che vuole elevarsi da una parte al di sopra dell’incarnazione, e che dall’altra ci riporta sempre in questo mondo, fintanto che saremo tanto evoluti, che avremo superato completamente, alla fine della nostra esistenza, tutto ciò che apportiamo con il mondo fisico. In maniera duratura, l’uomo ha una forza in sé che lo porta avanti, ed un’altra che ritarda, ostacola. Vediamo cosí l’essere umano composto di queste due forze: una che fa andare avanti l’evoluzione ed una che la ostacola. Possiamo vedere nei particolari come agiscono una dentro l’altra queste forze che fanno progredire e che ritardano. Prendiamo come esempio dalla vita umana, quella evidentemente fisica, l’occhio umano. L’occhio è, come dice Goethe, «formato alla luce per la luce». Se non avessimo gli occhi non vedremmo la luce. Ma se non vi fosse la luce non vi sarebbero neppure gli occhi. La luce è ciò che ha formato l’occhio. Attraverso il fatto che la luce crea l’occhio, crea al tempo stesso un impedimento all’evoluzione e alla corrente evolutiva, che è andata avanti. Per il fatto che la luce in un grigio e lontanissimo passato agí sul corpo umano, da essa scaturí quest’occhio. In aggiunta, la forza che sarebbe stata altrimenti forza vitale germogliante in un’altra direzione, dovette ostacolare. Dopo che altre forze hanno agito a lungo, l’occhio diventò maturo ad essere un organo che fa progredire l’evoluzione.
Vedete da tale esempio che gli impedimenti, le forze che spingono indietro, sono essenzialmente necessarie. Ora vediamo in che modo meraviglioso tutto ciò è organizzato in questa vita umana mentre sono presenti, da una parte le forze dell’evoluzione che portano avanti, e dall’altra quelle che spingono indietro. Queste ultime forze sono quelle che fondono l’uomo assieme al mondo fisico, sono quelle che gli forniscono nel mondo fisico, fra nascita e morte, gli organi attraverso cui si appropria delle forze per progredire. Se non fossero presenti queste forze ostacolatrici, l’uomo non entrerebbe nella vita fra nascita e morte, e non crescerebbe dentro gli involucri attraverso cui gli appare l’animico-spirituale. Ora agisce attraverso la vita, che è creata dalle forze ostacolatrici. Cosí l’uomo deve ringraziare le forze ostacolatrici per i frutti del progresso.
Si nasconde un grande enigma nel fatto che, nella vita, le forze che fanno progredire devono collaborare con quelle che ostacolano. Può dunque succedere che l’uomo, nel suo essere, tenga la bilancia fra le forze che fanno progredire e quelle ostacolatrici, o che in una vita si leghi completamente con le forze ostacolatrici che vengono prodotte nel corpo fisico, quale mezzo per il progresso, ma che le consideri non come un mezzo, ma come fine a se stesse, come un qualcosa solo per sé. In questo caso, l’animico-spirituale dell’uomo viene strappato via dall’intero progresso. Cade fuori, e ciò che sarebbe il tempo del Kamaloka, il tempo del divezzamento, della purificazione, che consiste nel fatto che l’uomo depone ciò che nel piccolo lo lega al mondo fisico, diviene un periodo assoluto. Questo si presenta a noi come qualcosa di estremo. Siccome l’uomo mai si lega interamente al mondo sensibile, perché egli si rende capace nell’animico, nella sua interiorità, di sfuggire a tale prospettiva estrema, scampa a questa possibilità. Ma se accadesse che i suoi interessi non aderissero mai a ciò che traspare come animico-spirituale – qui ciò viene posto come prospettiva, irraggiungibile in questa vita – penetrerebbe nelle forze operanti della vita, e potrebbe accadere che l’uomo, con il suo essere deforme, si sottragga con il mondo fisico-sensibile a tutto l’animico-spirituale. Prendiamo in considerazione questo caso ed ora l’uomo, dopo la morte, deve venire trasferito nel mondo animico-spirituale. Non porta nulla a tale mondo animico-spirituale, se non una invincibile propensione, un invincibile essere deformato da, e con questo, mondo fisico-sensibile. Questo quadro mnemonico ormai aderisce a questi e grava come un peso di piombo. La sostanza materiale indurita, tramutata in spirituale, l’uomo la porta dentro il mondo spirituale. È indivisibilmente legata a quelle forze che frenano ed ostacolano tutto lo sviluppo ed ogni evoluzione. Questa è l’intenzione dell’essere infernale. Perciò, nella prospettiva piú estrema, il tempo di purificazione si dilata a quello stato in cui l’Io, senza alcuna comprensione per il mondo animico-spirituale, è dipendente dalla sostanza puramente fisico-sensibile, senza apportare alcuna comprensione per la sostanza fisico-sensibile stessa. Questa comprensione per il fisico-sensibile è sofferenza infernale nello spirituale, anche se nell’essere sensuale forse è un piacere sensibile infinitamente appagante.
Ed ora cerchiamo di comprendere le parole di Faust prima citate. Quando l’inviato infernale lo vuole avere, cosa deve conseguire? Deve conseguire il fatto che Faust non tragga fuori dagli istanti dell’essere corporeo il germe per continuare l’evoluzione, ma in questi istanti dell’essere corporeo deve godere in maniera tale da volerli fermare in questa sua sensualità. «Se all’attimo dirò: “Resta! Sei Bello!” allora sí, ti sia concesso stringermi entro le tue catene». Questo è il patto che l’uomo può concludere con le forze infernali, in modo tale da legarsi alle potenze che ostacolano il progresso. Vediamo, però, nel contempo, che le cose andrebbero diversamente nell’evoluzione umana se queste forze ostacolatrici non comparissero nella vita.
La prossima volta, ricercheremo com’era l’uomo quando apparve la prima volta in un corpo fisico e da dove lo prese con sé. Ora sappiamo che l’uomo è composto di forze che fanno progredire e forze che fanno regredire. Se, quando l’uomo per la prima volta fece l’ingresso nel corpo fisico, non vi fossero state forze ostacolatrici, sarebbe rimasto in quella rappresentazione spirituale in cui si trovava prima dell’incarnazione. Attraverso la formazione nell’uomo degli organi dell’ostacolo, lo spirito è penetrato nel sensibile, ha potuto portare con sé i frutti del sensibile ed ha potuto progressivamente arricchirsi. Le forze da cui sgorga il progresso sono le stesse che ne devono formare gli organi. Devono porre ostacoli ad uno sviluppo precoce, affinché ne sia possibile uno posteriore. Nessuno ha il diritto di lamentarsi della comparsa di ostacoli nella vita. L’elemento conservativo è cosa buona finché è al servizio dell’umanità, diventa un impedimento se diviene fine a se stesso. Cosí è anche dopo la vita, nella morte. L’ostacolo è, dal punto di vista dello spirito, il portatore piú elevato del progresso. Se viene considerato fine a se stesso, o utilizzato egoisticamente, è l’elemento embrionale dell’inferno. Cosí ciò che è provenienza di tutte le facoltà umane, può divenire fine a se stesso, embrione dell’inferno, quando l’uomo vi si unisce al momento sbagliato.
Ora capiamo la saga nordica. Dal “Nebelheim” è sorto l’embrione spirituale per la cultura attuale. Ha dovuto percorrere le antiche culture, ma ha dovuto uscirne, per portarne i frutti nella incarnazione attuale. Coloro che non utilizzano l’incarnazione attuale in senso spirituale, si condannano a esser posti ad un gradino inferiore che era alla loro maniera buono, che era pure un mezzo per il progresso al loro tempo, ma che ora agisce ostacolando. Ciò che un tempo era un mezzo per il progresso, diviene elemento infernale quando si ferma nell’essere umano. Il “Nebelheim” non fu mai dominato dall’elemento infernale. Gli elementi buoni dell’uomo mantennero il “Nebelheim” fino al tempo in cui si svilupparono.
Vediamo cosí come bene e male, inferno e paradiso, agiscano uno attraverso l’altro nella vita umana, ed insieme sorgano da essa, come viene detto nella citata poesia di Schiller. Il bene diviene elemento ritardante e ostacolante, se non viene applicato nella giusta direzione, come il fuoco è utile quando lo si domina, quando può diventare fruttuoso, quando «si strappa le catene ed entra sulla propria traccia». Nello stesso modo, fanno la loro comparsa le forze infernali quando entrano nella vita umana «sulla propria traccia».
Cosí capiamo perché i grandi spiriti hanno percepito o compreso tali grandi connessioni, cosa che, pensata e percepita in uguale maniera, è ciò che la Scienza dello Spirito pone di fronte alle nostre anime. Oggi abbiamo posto l’elemento infernale come qualcosa di necessario alla nostra vita e, conseguentemente, la prossima volta faremo la conoscenza piú da vicino di quell’elemento che ci apporta la luce sul tutto. Conosceremo, dal punto di vista della vera Scienza dello Spirito, anche il lucente elemento del paradiso. Ma già dalla conferenza odierna siamo in grado di vedere che è giusto ciò che Dante(8 dice nelle ultime strofe dell’Inferno. Dante credette bene di dovere trattare per prime le forti forze ostacolatrici nella vita, prima di formare una rappresentazione di quelle forze che fanno progredire, in cui si trovano la salvezza e tutto lo sviluppo umano. Acquisiremo anche, per l’usuale vita quotidiana, punti di appoggio su punti d’appoggio, se saremo in grado di portare nel giusto equilibrio il regredire con il progredire. Si mostrerà dove ciò che ostacola rischia di divenire per l’uomo qualcosa di infernale, e dove si dimostra buono nell’elevarsi alle forze che veramente fanno progredire, come Dante lo raffigura quando si vede menato a destra e a sinistra dalle potenze infernali sotto la guida di Virgilio, ma che poi, uscito quale vincitore sulle forze ostacolatrici, a lui, la cui anima viene aperta alla luce, nel lontano firmamento, appaiono le stelle splendenti.
R. Steiner, L’Inferno, conferenza tenuta a Berlino il 16 aprile 1908, O.O. n° 56, tratta dal ciclo La conoscenza dell’anima e dello spirito, traduzione di Paolo Perper. ------------------------------------------------------------------------ (1) Paul Pochhammer (1841-1916). Edizione de La Divina Commedia di Dante, liberamente rielaborata da Pochhammer, 2a edizione, Lipsia 1907, Prefazione alla prima edizione, p. XV. (2) Traduzione in versi del Faust di Vincenzo Errante. (3) Uomo, donna, bambino, Conferenza tenuta a Berlino il 9 gennaio 1908, O.O. n. 56 (la stessa della presente conferenza), non ancora tradotta in italiano. (4) Francesco Redi (1626-1697), naturalista e medico italiano, Osservazioni intorno agli animali viventi che si trovano negli animali viventi, 1648. (5) Aurelio Agostino (354-430), Le confessioni, XIII libro, XXI capitolo. (6) Giordano Bruno (1548-1600), monaco e filosofo, morí nel 1600 sul rogo, vittima dell’Inquisizione. (7) Moritz Benedikt (1835-1920), medico viennese ed antropologo. Gli esempi sono tratti dalla sua autobiografia Dalla mia vita, Vienna 1906. (8 Dante Alighieri (1265-1321), La Divina Commedia, ultime strofe dell’Inferno: | |
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