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 | Titolo: Crescere interiormente Sab Mag 14, 2011 9:19 pm | |
| Riporto un lavoro di Silvia Giaretta
CRESCERE INTERIORMENTE LA VIA DEL DOLORE L' Annunciazione - Beanto Angelico. Maria, l'anima pura, si pone incondizionatamente e con Amore al servizio dello Spirito Chi intraprende un cammino spirituale oggigiorno, di solito inizia con una fase di ricerca. Cerchiamo le risposte agli interrogativi che si sono risvegliati dentro di noi primariamente nei testi sacri, nei libri dei grandi Maestri. Questa fase di studio, di istruzione, di documentazione, può durare anche tutta la vita. Alcune persone, non tutte, ad un certo punto sentono che tale fase è giunta a completamento e sono in grado di rendere faconda la conoscenza acquisita, cogliendo da sé nuove verità spirituali e non ripetendo più parole già dette o scritte da altri. Quello che però continua ad essere avvertito, durante il cammino, è l'anelito a crescere, a migliorarsi. In un primo periodo si tende a crescere nella conoscenza, poi questo anelito si volge al miglioramento della propria interiorità. E la parola che accompagna costantemente il nostro cammino, specialmente il cammino di chi segue la scienza dello spirito antroposofica, è coscienza. Ciò che il discepolo auspica nel cammino spirituale è una crescita della propria coscienza. Quello che purtroppo a volte inganna è che la parola "coscienza" viene confusa con "conoscenza". Quando si dice "avere coscienza di una cosa" si intende il conoscerla da tutti i punti di vista, il che implica, a seconda dell'oggetto, una conoscenza derivante dalla documentazione, dall'esperienza, dall'empatia con la cosa stessa. Ma le parole coscienza e conoscenza, anche nel nostro linguaggio comune possono essere assimilabili, espri¬mono due concetti differenti. Cosa significa avere coscienza? Non coscienza "di una cosa", semplicemente"avere coscienza". La coscienza nasce dal matrimonio tra spirito ed anima, ossia tra la nostra parte spirituale (che ha la possibilità di evolvere incarnandosi sulla Terra e confrontandosi con la morte) ed il nostro strumento di percezione ed esperienza del mondo terrestre, l'anima appunto. In condizioni ordinarie può accadere che la nostra anima non educata ci stimoli a compiere azioni volte a soddisfarla, a farla godere nelle proprie percezioni (eccesso di cibo, di divertimento, di emozioni, di qualunque cosa le "piaccia") e guidi il nostro agire in tale senso, rifiutando esperienze sgradevoli che possono però darci un insegnamento o farci crescere. Questo ci porta a sperperare la vita che abbiamo a disposizione in cose non vere, non buone e non giuste e, anziché portare a compimento il disegno per cui siamo scesi sulla terra, a "perderci" in una illusione di felicità dovuta alla sazietà della nostra anima. Questa situazione può nascere sia da un'anima che si perde nell'eccesso di se stessa e prevarica sullo spirito, oppure anche da uno spirito troppo debole per guidare l'anima. Quando l'anima è invece educata alla sobrietà e lo spirito è in grado di guidarla, si stabilisce una profonda armonia interiore che fa da culla alla nascita della coscienza. La coscienza nasce quando lo spirito, che deve fare esperienza del mondo, è in grado armonicamente di fecondare l'anima con impulsi morali ed essa, in risposta, di offrirsi a lui come strumento di esperienza e percezione del mondo fisico. In molte culture si parla di "illuminazione", in altre di "risveglio", in ogni caso si intende un "salto" di coscienza. Ci si sveglia, si è desti. Si vedono o avvertono cose che prima, quando la nuova coscienza non era desta, passavano inosservate, quasi fossimo stati dormienti. Giungono nuovi pensieri, di qualità differente, si reagisce in modo differente agli accadimenti della vita. Quando ci si risveglia al mattino si è "coscienti": l'anima offre allo spirito le sue percezioni del mondo circostante e lo spirito le accoglie crescendo nel confronto con la materia, e noi siamo coscienti di essere nel nostro letto, nella nostra casa.
 William Wetmore Story: L'Angelo del dolore Questo è un livello di coscienza ordinario. Più l'anima viene educata ad essere strumento dello spi-rito, e lo spirito scende a fecondare l'anima, più il "fìglio" che nasce dal loro matrimonio, ossia la nostra coscienza, sarà elevato e rivolto ai piani superiori a quello fisico. Questa condizione necessaria che interiormente ed a volte inconsapevolmente avvertiamo ci spinge spesso a esercizi di purificazione, di privazione, di astinenza e di costrizione volti a dominare la brama della nostra anima, ma quasi mai ci rendiamo veramente conto che la nostra anima ha una forza grandissima: essa contiene, in una forma che potremo dire "selvaggia", tutta la forza che il mondo spirituale ci ha donato per la nostra iniziazione, ossia per il nostro ritorno alla Casa del Padre. Tale forza, e viene da noi incatenata e compressa anziché domata e trasformata, non appena avrà una minima occasione dovu¬ta ad una nostra stanchezza fisica o emotiva si scatenerà travolgendoci, costringendoci a soddisfare i suoi bisogni repressi in modo immediato e sovrabbondante. Non è questo il modo adeguato per elevare la nostra coscienza. L'anima va rispettata, il che non significa essere indulgenti, bensì moderati e giusti, senza repressioni, sensi di colpa e intransigenze, ma con amorevole determinazione. Una creatura domata diventa nostra compagna di lavoro, diventa strumento fondamentale affinchè tutto proceda e ci offre la sua opera e la sua forza di buon grado e senza patire sofferenza. Torniamo però al nostro argomento principale, ossia la coscienza. Abbiamo visto che costringere l'anima ad una troppo rapida purificazione può essere doloroso e controproducente, per cui con tutta probabilità questa via non ci porterebbe ad un aumento di coscienza, bensì ad una sua diminuzione (naturalmente un sano controllo dei propri desideri non può che aiutare il nostro percorso). La via dello studio aumenta invece la nostra co-no-scenza, e non per tutti diventa feconda scendendo nelle profondità dell'anima e risorgendo come facoltà interiore. Consideriamo inoltre che non tutti sono portati per una via di studio: molte persone non hanno una disposizione interiore allo studio, senza contare che l'esperienza scolastica può avere reso veramente antipatico all'anima accostarsi ad un libro, generando una amore? vera e propria resistenza interiore. Quello però a cui dobbiamo pensare è che nessuno può essere impedito a compiere un cammino di elevazione e di ritorno alla Casa del Padre. Tutti siamo Suoi figli, per cui tutti abbiamo la stessa possibilità, anche se ognuno in un modo diverso e perfetto per il disegno che deve realizzare come individuo. Nessuno sarà escluso, altrimenti non vi sarebbe motivo di essere incarnati sulla Terra. La via per tornare al Padre è dunque una via per cui ognuno di noi possiede anche inconsapevolmente i mezzi e le forze, per il fatto stesso di essere sceso con il proprio spirito sulla Terra, sull'unico luogo del cosmo dove ci si può confrontare con la prova della Morte e vincerla, grazie alle forze che il Cristo ci ha donato. Cosa possediamo tutti noi, che possa farci tornare al Padre? Ebbene, una cosa può essere provata da tutte le nostre anime: il dolore.
In senso fisico noi sentiamo dolore quando ci facciamo "male". Il dolore che proviamo è, in senso più generale, il segno che siamo entrati in contatto con qualcosa che per noi è "male". Ma in senso assoluto chi permette al Male di agire nelle sorti dell'umanità? Chi permette questo è il Padre, Colui che, per permettere all'uomo di sviluppare la Libertà e l'Amore, ha permesso al Male di agire nella nostra evoluzione, perché solo avendo la possibilità di scelta tra.il Bene ed il Male potremmo espri¬mere la nostra Libertà ed il nostro Amore. Se vi fosse solo l'opzione del Bene che libertà potremmo esercitare seguendolo? E che amore? Per vincere la Morte anche Gesù percorse la via del dolore. Egli "bevendo il calice" al Gestsèmani accolse in Sé tutto il Male del mondo, accettandolo. Dopodiché Egli si lasciò catturare e torturare, innocente, in modi che la cinematografìa può solo accennare. Egli sperimentò tutto il Male: passato, presente e futuro. E accettando e soffrendo tutto il Male del mondo Egli potè avere la forza di vincere completamente la morte, risorgendo. Il Figlio archetipicamente ci ha portato le forze per vincere la morte. Egli lo fece in modo macrocosmico, noi siamo chiamati a farlo per quanto le nostre forze ci consentono, esistenza dopo esistenza fino alla "nostra" completa vittoria sulla morte. Ma soffrire il dolore non è la chiave: chiunque venga picchiato soffre del dolore, e certamente Gesù non fu l'unico uomo torturato o crocifisso nel corso di tutta la storia. Egli fece però una cosa particolare: accettò il suo dolore (senza resistenza, recriminazioni o opposizione interiore), amò la propria croce come amò fino all'ultimo respiro chi gliela mise sulle spalle ed offrì tutta la sua sofferenza al Padre. E il Padre lo fece entrare nella Vita Etema.
 Il dolore di Gesù al Getseniani in un 'opera di T. Pannunzio Il Padre ci fa sempre sperimentare un Male calibrato alle nostre forze (anche se noi non ci rendiamo conto di averle), per esempio sotto forma di una prova. Noi affrontando la prova proviamo dolore, il dolore che poi ci sprona a risvegliare le forze in noi "dormienti", di cui non abbiamo coscienza. Se noi nel provare il dolore lo accettiamo e lo offriamo al Padre, allora, come Gesù, nel nostro piccolo trasformiamo il Male (che abbiamo incontrato) in Bene (per la nostra evoluzione) e, "dietro" quell'apparente Male, cogliamo in realtà il Padre con tutto il suo Amore, che ci chiama e ci permet te di crescere. II dolore diventa così un vero ponte tra noi e il Padre: quando lo subiamo ne viviamo l'aspetto "discesa", quando lo offriamo, ne cogliamo l'aspetto "risalita". Tutto quello che ci da dolore, fisicamente o interiormente, in realtà è il dolore per la morte di una parte di noi stessi. Quando muore una parte del nostro egoismo proviamo dolore, quando muore una parte del nostro essere permalosi, della nostra gola, della nostra pigrizia, dal momento in cui siamo consapevoli di essere chiamati alla rinuncia di quella parte fino al momento in cui accettiamo la cosa, noi proviamo dolore. Possiamo decidere che "questa volta non ci interessa", che "più di così non possiamo fare", che "siamo così e non abbiamo voglia di cambiare", e tutte queste frasi segneranno tutte le occasioni perse della nostra vita. Inoltre, poiché il Padre continuerà a chiamarci, ci chiamerà più forte, e la seconda e la terza volta la stessa prova si presenterà in modo più duro e doloroso. Spesso c'è un modo in cui ci sentiamo costretti ad affrontare la prova, che sentiamo l'impossibilità ad arrenderci come avremmo voglia di fare, ed il motivo è sempre l'Amore. L'amore per un figlio, per una cosa cara, per un ideale, per una creatura.... questo ci da la forza di andare avanti, e quanto meravigliosamente l'Amore e la Libertà si intrecciano a formare la scala che ci aiuta a salire al Padre! Preferiamo perdere la persona amata o far morire un po' del nostro egoismo? E quante rinunce un genitore fa per amore dei figli? E se veramente amassimo noi stessi nel senso più profondo del termine, e desiderassimo il nostro bene più grande, il nostro ritomo al Padre, come affronteremmo le prove e le apparenti "disgrazie" che normalmente ci abbattono e sconfortano? Passeremmo l'esistenza a chiederci se il Ciclo ce l'ha con noi oppure vedremmo le cose con altri occhi? Ricordiamo che ad Eva fu detto "partorirai con dolore i tuoi figli". Inoltre ad Adamo fu detto che avrebbe lavorato la terra col sudore della fronte e che da polvere che era, polvere sarebbe tornato. Queste apparenti condanne sono la Grazia che il Padre ci ha concesso. Noi abbiamo soggiaciuto alla tentazione luciferica, abbiamo fatto entrare in noi stessi il Male, e ad operare questa scelta è stata primariamente la nostra anima (rappresentata archetipicamente da Èva). A quest'anima è stato concesso il dolore, per risvegliare la sua consapevolezza, il dolore che indica la nascita di un figlio, di un frutto spirituale. Proviamo per un momento a mutare pensiero, a non vedere il dolore fisico come la "punizione" da sopportare per fare nascere un figlio. Cogliamolo come il dolore dell'egoismo che vive nella nostra anima, che si vede costretto a farsi indietro, in quanto l'anima ha scelto di farsi strumento della vita dando alla luce un figlio e non curandosi esclusivamente dei propri desideri personali.
 La Pietà di Michelangelo Questo viene percepito da noi come dolore, ma è il segno della vittoria, dell'anima che vince se stessa e che torna ad essere strumento della Vita, ossia delle forze del Padre. A quel punto l'anima avrà le forze per sostenere lo spirito che, da polvere, dall'irretimento nella materia fisica, potrà risorgere. E, come dice Gesù nel Vangelo, dopo la nascita del Figlio la donna "dimentica il dolore, per la gioia che un uomo sia venuto al mondo": quando in noi si è completata la nascita di un Fanciullo spirituale la nostra coscienza è salita, siamo in una condizione di gioia e pace e quanto prima ci dava dolore ora ci appare futile. Quando eravamo bambini il rifiuto di un giocattolo ci faceva pro¬vare tutto il dolore del mondo, ma ora, da adulti, ad un altro livello di coscienza, quel dolore ci appare piccolo, insignificante. Ciò non toglie naturalmente che, come bambini, la nostra sofferenza sia stata autentica e profonda, in quanto adeguata al nostro livello di coscienza di allora. Questo pensiero ne porta con sé un altro: possiamo allora pensare che più si aumenta il proprio livello di coscienza e più ci si liberi dal dolore? Per questo allora quello che caratterizza le persone spiritualmente più elevate, a qualunque corrente appartengano, sia quell'aspetto di serenità e di pace intcriore che traspare costantemente dal loro agire? La mitologia racconta che Pandora, un'anima, scoperchiò il vaso che conteneva rutti i mali, liberandoli nel mondo, ma per ultima, da quel vaso, uscì anche la Speranza, la Virtù legata all'Uomo Spirito, la virtù che ci accompagna alla resurrezione. Se la morte non è che una prova per giungere alla vita eterna, possiamo anche pensare che tutte le parti che piano piano muoiono dentro di noi, se abbiamo l'adeguata coscienza e l'adeguato atteggiamento, possano in realtà risorgere come forze per l'iniziazione. Questo avviene in massima forma nella morte fìsica. La morte è l'ultima prova che tutti gli esseri umani affrontano, è il passaggio alla Vita Eterna, è la porta che il Padre ci ha donato per tornare a Lui. Normalmente la morte è un'esperienza dolorosa, anche fisicamente. Questo dolore è l'ultima occasione che ci viene ancora offerta, in quanto il nostro tempo sulla Terra è finito e non avremo altre occasioni per offrire il nostro dolore ed entrare in collegamento con il Padre. Accenniamo solo all'importanza di una morte in stato "cosciente", all'importanza di varcare coscientemente la soglia della morte vivendo pienamente tale prova, e lasciamo al lettore trarre le conclusioni su quello che può comportare un anestesia, un antidolorifico, fino ad arrivare all'eutanasia. Mutiamo mente! Solitamente il comune modo di pensare è abbastanza lontano dal punto di vista spirituale, proprio perché la nostra civiltà è così sprofondata nel materialismo. Quanto non riusciremo a portare a termine sarà un ulteriore lavoro che ci troveremo a dover fare nella successiva esistenza (che già aveva uno scopo previsto), una "zavorra" in più, un lavoro non fatto che ci ritroveremo da completare. Quindi anche chi non ha letto libri, non ha meditato, non pratica una religione...chiunque ha in sé la possibilità di percorrere la via del dolore. Con ciò non si intende che il dolore vada cercato natural-mente: bisogna affrontare quello che è nel nostro disegno, quello che il Padre ci manda nella sua infinita saggezza, non aggiungerci fardelli ulteriori che ci impedirebbero invece nel lavoro a noi destinato. A ognuno di noi il compito comprendere ogni dolore nella sua vera essenza affinchè diventi una possibilità, un'occasione, il ponte per ritornare al Padre.
SILVIA GIARETTA | |
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